V Domenica di Pasqua

 

tralci della vita

La liturgia di questa quinta domenica di Pasqua ci stimola a scoprire il mistero dell'esistenza eristica della comunità. La pericope evangelica si concentra sulla felice immagine della vite e dei suoi tralci, per esprimere la profondità del legame che unisce i discepoli al proprio Signore. In un certo qual modo la comunità credente è chiamata a comprendere la propria identità rileggendo le parole che Gesù ha consegnato ai suoi nell'ultima cena. Il discorso dei tralci innestati nella vite, di cui il Padre ha cura, costituisce un appello intenso e profondo rivolto ai suoi da parte di Gesù a dimorare in lui per portare un frutto duraturo. Perché il discepolo non è solo beneficiario della vita stessa del Cristo, ma è chiamato a responsabilizzarsi per essere testimone vivente nel mondo di quell'amore che lo rigenera ogni istante.

La seconda lettura è ben connessa al brano evangelico. In essa emerge chiaramente che portare frutto richiede due condizioni concrete: credere in Gesù e amare i fratelli secondo il comandamento che ci è stato affidato. Il frutto promesso e sperato consistono esclusivamente nella glorificazione del Padre, e non è altro che la concreta testimonianza dell'azione dello Spirito Santo in noi, che ci rende partecipi della stessa vita del Signore Gesù Cristo.

La prima lettura - tratta come sempre dal libro degli Atti - ci mostra la prima comunità cristiana nell'atto di organizzarsi dopo la resurrezione di Cristo. Paolo - quello che sarà l’"Apostolo" a cui è apparso Gesù Risorto - è tuttavia accolto in un primo momento fra titubanza e paura. Grazie all'intervento di Barnaba egli verrà accolto ed inserito nel progetto di evangelizzazione.

Anche in questo caso è chiaro che vivere della linfa di Cristo significa eliminare tutti i particolarismi e le chiusure. L'anelito profondo della liturgia è sintetizzato nella colletta: "…perché, amandoci gli uni gli altri di sincero amore, diventiamo primizie di umanità nuova e portiamo frutti di santità e di pace".