II Domenica di Quaresima

 

In tutti e tre i cicli della seconda domenica di Quaresima ricorre l'identico tema di Gesù trasfigurato. Il termine "trasfigurazione'', che in senso immediato indica il passaggio da una figura ad un'altra, è la parola chiave dell'esperienza cristiana. Cristo nello splendore del monte Tabor annuncia la sua Pasqua, anticipandola in qualche modo: Egli mostra che anche quando le tenebre del male, della sofferenza, del fallimento, della morte lo sommergeranno, non resisteranno di fronte all'assolutezza della sua luce. Solo l'amore di Dio in Cristo può assorbire e trasfigurare tutta la creazione nella sua luce pasquale, quella stessa che rifulgerà nel Risorto.  Nelle vesti bianche del suo corpo, il Signore è presente nella pienezza della sua divinità, la carne di Cristo è inseparabile dalla sua essenza divina (Mc 16,5).

Elia e Mosè conversano con lui perché è proprio la luce del mistero pasquale la verifica e la garanzia di ogni profezia e di ogni legge passata, presente e futura. La scena è dominata dalla voce del Padre: "Questi è il figlio mio amatissimo, ascoltatelo!". In essa riconosciamo l'eco di Abramo nell'atto di offrire il proprio figlio (prima lettura) e siamo già proiettati a contemplare l'attuarsi di quello che il patriarca ha mostrato solo in figura, perché "Dio non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha dato per tutti noi" (seconda lettura). 

E' proprio l'offerta consapevole che Gesù farà di sé in risposta all'amore del Padre, in una parola, la sua "esistenza pasquale", che ci impedisce di imprigionarlo nei nostri schemi, nelle nostre tende costruite da mani d'uomo, per seguirlo accompagnandolo a Gerusalemme, la méta esistenziale di ogni cristiano. Tutti coloro che, scegliendo di percorrere la via di Dio, obbediranno al Padre ad immagine e somiglianza del Figlio, scopriranno la trasfigurazione della propria vita.

 

I Domenica di Quaresima

 

La tentazione di Gesu

Il cammino quaresimale proposto nell'anno B è rivolto alla contemplazione del dono d'amore che il Padre ci fa in Cristo, invitandoci a seguire la via inaugurata dal Figlio per entrare nella gloria della vita eterna.

La prima domenica di Quaresima si apre con un annuncio di speranza: come l'umanità colpevole ai tempi di Noè si salverà attraversando le acque devastanti e distruttrici del diluvio mediante la potenza di un legno (l'arca) costruita dall'uomo giusto (prima lettura), così Gesù è Colui che porterà a compimento le promesse di salvezza, abbracciando nel deserto tutta la nostra povertà fino alle sue estreme conseguenze cioè la croce.

Il testo evangelico narra i 40 giorni di Gesù nel deserto. In realtà è così esiguo da far supporre esegeticamente che, più di un preciso spazio geografico, si tratti di una situazione concreta di prove e tentazioni che Egli ha sperimentato nel corso dell'intera sua esistenza terrena. Va rilevato che il numero 40 ritorna continuamente nei testi sacri per simboleggiare la fase caotica che precede ogni trasformazione e dunque maturazione dell'auto-coscienza, anche l'immagine del deserto rappresenta metaforicamente il passaggio obbligatorio teso a far emergere le più profonde aspirazioni dell'umanità e a rispondere consegnandosi alla Parola di Dio incondizionatamente.

Gesù, nel pieno della sua consapevolezza di figlio del Padre, viene condotto dallo stesso Spirito divino ad affrontare il "ring esistenziale" che abita la vita di ogni uomo: lo spirito del mondo contro lo spirito di Dio, affermare il regno di Dio coi mezzi propri del mondo o con la potente debolezza del Dio crocifisso? Come già affermava Abbà Antonio: "Chi non ha sperimentato la tentazione, non può entrare nel regno dei Cieli", ed inoltre come dice la Scrittura: "II giusto è sostegno del mondo" (Pro 10,25), perciò Gesù accetta di "essere messo a morte nella carne, per essere reso vivo nello spirito" (seconda lettura).

 

VI Domenica del Tempo Ordinario 

 

Nell'A.T. la lebbra era considerata la più grave forma di impurità fisica che potesse capitare ad un uomo; per questo il sacerdote aveva il compito di dichiararlo immondo e di escluderlo dalla vita di comunità. Le letture di questa Domenica ci permettono di conoscere l'atteggiamento della Legge mosaica e l’atteggiamento di Gesù. Nel brano tratto dal Levitico si dice che la persona sospettata di lebbra doveva essere condotta dal sacerdote il quale, accertata la cosa, "dichiarerà quell'uomo (o quella donna) immondo". Il povero lebbroso, scacciato dal consorzio umano, doveva lui stesso, tenere lontano le persone avvertendole del pericolo. Nel Vangelo Gesù, non solo non ha paura di contrarre il contagio, ma permette al lebbroso di arrivare fino a Lui e di gettarglisi davanti in ginocchio: "se vuoi puoi guarirmi" Egli stende la mano e lo tocca. "Se vuoi!", si è abbandonato al desiderio di Gesù con tutto se stesso. Ha rinunciato al proprio volere e si fida totalmente del volere e del potere di Gesù. Un simile amore incanta il cuore di Gesù e lo conduce a compiere il miracolo, pronunciando una frase tra le più sublimi e divine: "Lo voglio, guarisci!". Il lebbroso non solo è guarito nel corpo, ma conosce anche la salvezza data dalla fede in Gesù. La fede è sì un dono, ma anche un lungo cammino di purificazione e di crescita. Ed è quanto il Vangelo di oggi ci vuole dire: tutti noi portiamo nel cuore la lebbra del peccato ed è consolante sapere che ogni qualvolta ci gettiamo ai piedi di Gesù e della Chiesa riconoscendo i nostri peccati e udendo le parole: "io ti assolvo dai tuoi peccati" Gesù ci ripete con gioia come al lebbroso: sei guarito!

San Paolo nella 2° lettura, esortando i Corinti a imitarlo, desidera trasmettere loro la gioia per avere messo tutta la sua vita al servizio di Cristo Gesù Crocifisso e Risorto. Anche il cristiano, nella semplicità di tutte le sue azioni quotidiane, è chiamato a dar gloria al Signore Gesù.

 

V Domenica del Tempo Ordinario 

 

II brano evangelico di questa domenica ci offre il resoconto fedele di una giornata-tipo di Gesù. Dai fatti raccontati deduciamo che consisteva in un intreccio tra la cura dei malati, preghiera e predicazione del Regno. Il punto di riferimento del Vangelo di oggi è Cafarnao (campo della consolazione) la casa di Pietro, dove Gesù compie il suo primo miracolo: la guarigione della suocera. Gesù si china su di lei, le prende la mano e, senza pronunciare una parola, la solleva e la guarisce. Questa anziana malata guarita è il simbolo di tutta l'umanità che Gesù è venuto a salvare. Al tramonto del sole, davanti alla casa, tutti i malati, tutti gli indemoniati vengono portati a Gesù, tutta la città è presente, tutti lo cercano. Ma Gesù prima dell'alba si ritira solitario in preghiera e agli apostoli che affannati lo cercano dice: "andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché predichi anche là; per questo sono stato mandato". Gesù aveva coscienza della sua missione; quella di far conoscere a tutti il messaggio di salvezza affidatogli dal Padre. Anche i demoni lo conoscevano, ma dovevano tacere perché privi di fede, umiltà e speranza. Il problema della sofferenza da sempre tormenta l’uomo di ogni tempo. La prima lettura di oggi, il libro di Giobbe, ci presenta un uomo provato con intensità dal dolore, dalla prova; è la lotta dell'uomo di tutti i tempi nel confronto con Dio. Eppure Giobbe, ed è questa la sua grandezza, nonostante i suoi tormenti si affida al Dio che l'ha deluso ed è diventato suo nemico; Giobbe nella lotta confessa a Dio la sua speranza.

S. Paolo nella seconda lettura insiste sulla gratuità della fede, affermando che la sua sola certezza e ricompensa sta nell'annunziare gratuitamente il Vangelo, cioè Gesù Cristo, unico Salvatore dell'uomo. Giobbe e Paolo ci stimolano oggi a rivedere la nostra vita di fede.

 

IV Domenica del Tempo Ordinario 

 

In Deuteronomio 18 tra le maggiori istituzioni di Israele compare il profeta che è per eccellenza l'uomo della Parola, il portavoce di Dio. La tradizione giudeo-cristiana riferirà questi lineamenti al Messia. Siamo così introdotti al Vangelo nella giornata tipo di Gesù: di Shabbath, nella sinagoga, sta insegnando con autorità una dottrina nuova. Lo stupore circostante nasce dal fatto che lo stile rabbinico aveva il carattere di una fedele custodia e trasmissione della Torà, senza apporti originali o personali, questo ne garantiva l'integrità. L'insegnamento di Gesù colpisce per la sua autorità, non perché spezzi questa tradizione; infatti qui c'è molto più del rabbì o dello scriba, c'è la Parola in persona, il solo Maestro, compimento di tutta la Torà; la sua dottrina è nuova nel senso originario ed efficace della parola divina che è viva, dice e fa. Questa "spada a doppio taglio" penetra nel punto di divisione provocato dal peccato e svela l'azione del maligno che, davanti al Santo di Dio, reagisce apertamente. Gli astanti sono presi da timore, meravigliati di fronte a questa potenza che non conoscono e che è riconosciuta dal regno del male. Gesù non deve usare formule esorcistiche, non è un confronto tra due forze antagoniste, ma è l'inizio della fine, "sei venuto a rovinarci". Il Signore del Sabato viene nella sua casa, a riprendersi la sua preziosa proprietà, l'uomo nella sua integrità, creato libero "per essere unito al Signore senza distrazioni" (2° lettura). Lo spirito immondo attenta al segreto messianico "io so chi tu sei, il Santo di Dio", ma questa non è vera confessione, solo un grido disperato che verrà messo a tacere dalla stessa signoria di Gesù operante nella sua parola: "Taci. Esci". La vera conoscenza di Gesù non sta nei miracoli e neppure nella grande professione di Pietro che segnerà solo la metà del Vangelo e del nostro cammino, la conoscenza di Lui si avvera sotto la croce nel mistero pasquale dove il Messia si rivelerà come Servo sofferente e Salvatore.